Alys intervistata dal Te delle Cinque – un focus su F.I.G.A.

Qualche settimana fa, in occasione della Festa Nazionale delle Donne, ho ufficialmente presentato la nuova Zine del progetto F.I.G.A – Foundation for International Girls in the Arts.

Per l’occasione ho avuto il piacere di scambiare una chiacchierata con il team de “Il Te delle 5”. Questo magazine, che tratta di informazione e cultura, mi ha fatto alcune domande sul mio percorso, su come è nato F.I.G.A., sul nuovo magazine e in generale sui temi legati al femminismo e all’arte.

“Volevo dare il mio contributo parlando di riappropriazione e conquista di spazio, di riassegnazione dei significati e restituendo dignità ad una parola che viene comunemente considerata “volgare”. L’uso dell’acronimo é un gesto che mira a scioccare l’osservatore che poi, però, si rende conto che oltre alla parola “spiacevole” ci sta un significato reale, attuale e rilevante. “

Spero vi piaccia l’intervista!
Buona Lettura!


Come ti sei avvicinata al mondo dell’arte?
Non mi sono mai avvicinata al mondo dell’arte. Ho semplicemente imparato a disegnare “faccine” prima ancora che a scrivere. Ho passato momenti molto difficili durante la mia infanzia, momenti violenti e traumatici. Il disegno mi aiutava ad isolarmi e anestetizzare sentimenti che ancora non capivo e che non avrei capito per molti anni. L’arte non é un mondo, un’industria, una fetta di mercato. É un linguaggio umano non verbale. Nel corso degli anni avevo capito che era quella la mia strada anche perché non mi sono mai fermata al gesto, al segno grafico. Sono sempre stata molto appassionata alla storia dell’arte, al gossip che ci sta dietro, alla politica e all’estetica (intesa come branca della filosofia). Ti fa capire come i giochi di potere modificano le estetiche e la nostra percezione del mondo, della nostra storia e quindi anche della nostra identità sia personale che sociale.

Quando e come hai capito che volevi farne un lavoro?
Ancora adesso faccio fatica a considerarlo un lavoro. Mi sembra di prostituire una parte molto delicata di me, vorrei trovare un lavoro che mi permetta di sentire che quello che faccio é per una buona causa e fino ad ora non ho mai avuto questa sensazione. Certo, ci lavoro e ci pago l’affitto, ma é stato un percorso lungo che non é ancora concluso. Il mio sogno é quello di aprire un centro interdisciplinare di cultura visuale femminista che includa una sezione tattile per ipovedenti e non vedenti. Questo perché l’esperienza di creare per il Museo Tattile Omero é stata una delle esperienze piú stimolanti della mia vita e vorrei che tutte le istituzioni museali potessero fare la magia di rendere l’arte visiva accessibile davvero a tutty. Non ci ho visto un soldo, anzi ho autoprodotto l’opera, ma la soddisfazione di vedere il risultato é stata enorme.

Le cose a cui tengo veramente non le espongo “al mercato”. L’arte non può essere un lavoro, a meno che non si abbracci in toto il principio capitalista secondo il quale tutto ha un costo e tutto può essere comprato. Io non ho mai voluto farne un lavoro, ho studiato le materie dell’arte per amore, perchè mi importava e mi interessava. Quando al primo anno di accademia mi chiesero perchè avessi scelto la sezione multimediale, la mia risposta è stata “perchè non ne so niente, non conosco questo ambito”. Al momento lavoro come multimedia project administrator per una storica charity a Londra. Questo per dire che imporre a chi studia di scegliere un percorso al liceo e seguirlo per costruirsi una carriera futura è limitativo e palesemente mirato a creare forza lavoro e non esperienza atta a crescere e formare il pensiero critico. Sottolineo, inoltre, che la creatività non é qualcosa di innato, ma qualcosa che si esercita col tempo e con il confronto. L’anno scorso ho letto un libro che si chiama “real artists don’t starve”di un americano che prende ad esempio persone della media e alta borghesia che hanno successo nell’ambito artistico. Modelli imprenditoriali creativi per gente che ha già un capitale da investire.

Un libro assolutamente irrealistico che non considera che chi studia e pratica arte ha nel 90%dei casi un day job per supportare la propria pratica artistica. Solo in Italia, nel 2021 é stato calcolato che il 48% degli artisti vive sulla soglia di povertà. Chiediamoci quale é davvero il valore che la nostra società da ad una pratica tanto sociale quanto intima. Avere un valore ed essere appetibili al mercato non sono necessariamente la stessa cosa.

Il progetto FIGA invece di cosa tratta?
Si tratta di un progetto che era stato pensato per durare un anno, un supporto per le donne. Siamo sotto rappresentate nel mondo dell’arte e della storia dell’arte. Volevo dare il mio contributo parlando di riappropriazione e conquista di spazio, di riassegnazione dei significati e restituendo dignitá ad una parola che viene comunemente considerata “volgare”. L’uso dell’acronimo é un gesto che mira a scioccare l’osservatore che poi, peró, si rende conto che oltre alla parola “spiacevole” ci sta un significato reale, attuale e rilevante.

Come mai la donna è ancora sotto-rappresentata? E’ quasi incredibile pensarci …
Le donne sono sempre state tenute lontane dal mondo dell’arte “alta” e relegate alle arti cosiddette minori. Le donne nella storia dell’arte sono un elemento della narrazione della storia che si sta riscoprendo solo negli ultimi due o tre decenni, specialmente negli ultimi anni grazie al movimento Herstory e al sempre crescente numero di persone che intraprende studi di genere. In Italia, secondo me, le accademie e le università potrebbero fare molto di piú in termini di integrazione di studi di genere nei programmi. Tornando alla domanda, l’idea che le donne per molto tempo siano esistite nelle opere d’arte di solito come corpi ma raramente come artiste, solleva un’enorme questione sulla relazione che esiste tra oggetto, soggetto, ambiente, creatore ed osservatore. Arriviamo qui al concetto di Male Gaze (“sguardo maschile” sul mondo) che dà un nome all’abitudine millenaria di usare lo sguardo dell’uomo sul mondo come metro di misura per rappresentare l’universo esperienziale comune con l’unica prospettiva del maschio (etero e non). Ad oggi, secondo un’indagine congiunta di artnet News e In Other Words, un totale di 260.470 opere d’arte sono entrate nelle collezioni permanenti dei musei dal 2008. Solo 29.247 erano di donne. La ragione principale della sottorappresentazione delle donne nella storia dell’arte ha a che fare con tre barriere: il patriarcato, le strutture sociali e lavorative e gli stereotipi. L’equità non è solo una questione di “fare la cosa giusta” o di raccontare una storia più accurata. È soprattutto un modo importante per i musei, le gallerie e le istituzioni di assicurare la loro rilevanza duratura e salvaguardare la loro sostenibilità finanziaria. Ecco perché poi ci troviamo ad interpretare la “quota rosa”.

Che evoluzione vorresti o pianifichi per FIGA?
Sto studiando come trasformarla in una zine. Usicrá la issue n.1 l’8 Marzo.

Ci dici qualcosa di più sulla prima uscita? Magari il nome del progetto, chi collabora .. In questo numero sto sperimentando parecchio. Ho inserito un lavoro su un gruppo di diverse lavoratrici expat qui a Greater London che ho realizzato per femLENS, ospito un articolo tradotto di Alessia Bonura (Docente, penna di Eco Internazionale e mediatrice artistico- culturale). Ho anche inserito un appello a supportare artistsatrisk.org – non-profit network institution che lavora nell’intersezione tra arti e diritti umani – e la traduzione delle posizioni dell’assemblea delle donne MFPR, gruppo a cui sono vicina sin dai primi anni 2000.

Come mai sei legata a queste tematiche?
La penna ferisce piú della spada e sono convinta che la rivoluzione economica e sociale passino per quella culturale. Facciamo parte di un mondo in cui si parla tanto di diritti civili che, peró, senza giustizia sociale è solo retorica pensata per tenere buone masse di menti impreparate. Il femminismo che porto avanti é anticapitalista, antifascista, internazionalista e per la lotta di classe.

Ci sono delle correnti femministe che sono invece pro-capitaliste e fasciste?
Sarebbe un controsenso. Il femminismo nasce in seno al socialismo e alle questioni di classe delle lavoratrici. Il femminismo fascista pro capitalismo semplicemente è una contraddizione in termini, un ossimoro. Solitamente la destra usa la parola “femminista” come un insulto a chi delegittima lo status quo che sorregge la loro posizione *dio, patria, famiglia”. Per esperienza (ho fatto parte di lotte sindacali portate avanti da donne precarie/operaie/disoccupate/migranti legate ad MFPR e SLAI COBAS) e posso dirti che il femminismo trova il fuoco perpetuo tra donne proletarie. Non dimentichiamoci che il femminismo nasce come risposta naturale all’industrializzazione a cavallo tra l’800 e il ‘900. Il femminismo è rinascita interiore e porta dentro secoli di cultura femminile che va non solo riscoperta ma conservata come bene prezioso; non a caso in molte frange le femministe sono anche legate a concetti di eco femminismo, c’é un legame particolare con Madre Terra. Quel senso di necessitá di conquista di diritti fondamentali non puó crescere nelle menti borghesi delle donne di destra. O si? Esistono comunque delle situazioni in cui il femminismo abbraccia e difende tutte, per esempio quando una esponente della destra italiana é stata attaccata per il suo aspetto fisico ci siamo tutte erette in sua difesa.

Vedi, il femminismo abbatte muri e costruisce ponti.

Il femminismo è una cosa molto pratica che però ha una base teorica interdisciplinare.

Le destre strumentalizzano molto la questione femminista. La strumentalizzazione dei diritti femminili in chiave fascista si esplica nell’elaborazione del colonialista dominatore – di una cultura altra in cui l’oppressione di genere è sintomatica della “non-occidentalità” delle società locali: le culture “altre” vengono contrapposte a quella europea e connotate negativamente, in quanto intrinsecamente misogine e retrograde. Il bue che dice cornuto all’asino, in pratica. Eppure una delle più influenti teoriche del femminismo internazionalista é Anhurada Ghandy, indiana, per dirne una. Ecco perché alle destre fa comodo la questione femminista. Senza pensare a quanto fa comodo la questione femminista alle industrie e ai governi che trovano manovalanza e contemporaneamente l’altra metá del welfare.
Non é comunque indifferente la vicinanza con le posizioni del clero e la questione dell’identità cattolica che si manifesta con il culto dello stereotipo della madre madonna angelo del focolare.

Facendo un confronto fra Italia e Uk, dove vivi, riferendoci a questi diritti civili, che differenze vedi?
In Italia c’é una coscienza politica molto diversa. UK é uno dei cuori pulsanti del capitalismo mondiale. La gente viene in Uk con la speranza di migliorare le proprie condizioni. Expat é solo un modo molto borghese di dire Migrante Economico. Le differenze ci sono ma non sono drastiche. L’Italia guarda ai modelli anglosassoni con troppa speranza. Non credo che le differenze siano rilevanti. Le vedo come sfumature dello stesso colore.

Se ti chiedessi cos’è per te il femminismo, tu cosa mi risponderesti?
Non esiste una risposta univoca e semplice. Il femminismo é molte cose, tutte interconnesse tra loro. Se mi fermassi ad immaginare un mondo femminista, sarebbe esattamente l’opposto di quello che stiamo vivendo. Sarebbe un mondo pacifico, socialista, volto alla collaborazione e non alla competizione (cosa a cui sono educati TUTTI in questo mondo, la competizione é la radice di tutte le guerre). Il femminismo é l’unico modo che hanno le donne di rompere le doppie catene a cui sono legate. Le donne possono e devono assumersi la responsabilità di essere una forza trainante della continua distruzione delle pratiche e idee borghesi, della lotta alla permanenza di tali idee, di rompere ogni aspetto di mistificazione, conciliazione, permanenza di concezioni e aspetti maschilisti, sessisti, ma anche le forme nuove che in mancanza di lotta continuamente si riproducono anche nel movimento femminista. L’esperienza passata con le sue lezioni positive e negative, così come le rivoluzioni della storia, guerre popolari in corso, soprattutto oggi in India (gruppi armati composti da tantissime donne che combattono per riappropriarsi del territorio espropriato da magnati e multinazionali), dimostrano ancora una volta che i grandi cambiamenti sociali sono impossibili senza il fermento delle donne e che l’esito della rivoluzione culturale dipende dal grado di partecipazione delle donne. Tutta la vita deve cambiare.

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