Daniela Montedoro
Studiare in Accademia, blocco creativo e produttivitá
Cosa é il blocco creativo? Esiste? Da cosa dipende? Ha a che fare con la pulizia mentale di chi crea? In che modo influisce l’ambiente circostante? Daniela Montedoro é una studentessa dell’Accademia delle Belle Arti che ha scelto di offrirci una riflessione e le sue sensazioni sulla sua esperienza accademica.
Non ricordo bene quando ho iniziato a disegnare, credo di aver iniziato a disegnare nel momento in cui ho iniziato ad impugnare la matita. Fin da subito ho sentito che mi rilassava, che mi dava pace. Quando si é bambini si puó disegnare liberamente, senza dare un significato ad ogni linea o colore; disegni per te stessa. Trovo che ricercare questa spensieratezza nella propria pratica possa aiutare l’atto creativo.
Sicuramente sono sempre stata attratta da questo mondo fatto di matite e tubetti di colore.
Disegnare é una dote ereditata dai miei genitori grazie ai quali ho perseguito gli studi artistici dopo le scuole medie; la mia professoressa di Arte lo aveva caldamente sconsigliato dicendo, durante gli ultimi colloqui, che “potevo fare tutto tranne arte”.
Mio padre e mia madre non le hanno dato retta e così mi sono iscritta all’Istituto Statale d’Arte di Macerata. Grazie a loro sono arrivata qui dove mi trovo ora. Mi hanno sempre spronata a creare e a cercare nel disegno la mia valvola di sfogo con cui potermi raccontare e con cui rappresentare le immagini che mi balenavano nella mente, senza filtri.
La mia spinta creativa è ancora alla ricerca di un’espressione, di una maniera e una forma che possano presentarsi come mie. Certo è che l’ispirazione deriva da ciò che mi circonda e da ciò che mi fa emozionare, ed è questo che vorrei far trapelare dai miei lavori.
Lavoro con diversi soggetti, non riesco a trovare un filo conduttore che possa legarli tutti.
Quello che li accomuna, secondo me, è l’atmosfera vagamente gothic (più o meno presente a seconda del soggetto) che ottengo con l’utilizzo di colori scuri e ombre ben marcate.
I lavori più significativi sono stati creati durante il periodo di studi di Illustrazione, come ad esempio le tavole per il progetto del romanzo illustrato di “Sleepy Hollow”.
Provo piacere anche nel fare i ritratti, soprattutto a matita e a penna. Con questi medium, per questo particolare soggetto, riesco a creare sfumature morbide e avvolgenti.
Con i colori, come accennavo prima, mi diverto a scavare le ombre e renderle tangibili.
In questo caso i soggetti escono dall’oscurità, non più fatta di un nero piatto, ma pieno, creato da strati di blu, verde e grigio. Solo alla fine utilizzo il nero, per gli ultimi ritocchi e per “scavare” a fondo
Il lavoro a cui tengo di più, e che un giorno vorrei poter pubblicare, è una graphic novel realizzata a china e inchiostri, rigorosamente in bianco e nero. La realizzazione è stata ultimata, sono nella fase di revisione (ogni volta che la riprendo cambio qualcosa).
L’idea è nata dopo aver scritto la tesi di laurea triennale conseguita nel 2016; il tema centrale erano le leggende marchigiane e di come siano arrivate a noi attraverso il racconto orale. Presentai il progetto di un libro, una raccolta delle leggende più significative riscritte e rielaborate in filastrocca. Ne scrissi 4 per dare un “assaggio” del risultato finale. Da lì nacque la volontà di riportarle in maniera grafica, così incominciai a progettare la graphic novel. A queste ho aggiunto una storia originale, sempre scritta in filastrocca. Unendo tutti questi elementi nasce “Racconti all’Imbrunire”.
Attualmente, sto lavorando, insieme ad un mio amico, alla creazione di un gioco di carte fantasy: un’avventura in cui i protagonisti sono degli gnomi che vivono nel loro mondo fatto di alberi e foglie giganti. Mi piace spaziare con i soggetti.
Ho scelto il percorso delle Belle Arti perché mi piaceva l’idea di dare al mio talento una valenza e uno “status”; laurearmi in un ambito che mi appartenesse davvero. L’idea di frequentare altri percorsi di studio non mi è neanche balenata in testa; inoltre, mi serviva, e mi serve tutt’ora, la laurea per accedere all’insegnamento.
Il mio sogno è quello di arrivare alle scuole perché mii piacerebbe lasciare una traccia del mio passaggio negli alunni, insegnare loro cose nuove e, soprattutto, accompagnarli, ascoltarli e farli crescere.
In questo senso, una esperienza davvero bella e formativa per me é stata quella del corso di fumetto. Ho vissuto delle giornate in cui la mattina ero allieva e il pomeriggio docente. Molti dei bambini che si sono iscritti non sapevano disegnare o non erano abituati a farlo, eppure li ho aiutati a creare un fumetto. Il corso aveva come scopo di avvicinarli alla vita di Dolores Prato (1892- 1983), scrittrice nativa di Treia (MC) e di rappresentarla come loro la immaginavano. La collaborazione con la scrittrice Lucia Nardi è stata fondamentale. Lei si è occupata della parte “teorica” del lavoro (ad esempio: scrivere il soggetto, il carattere della protagonista) e io della parte pratica (dalla creazione dello storyboard alle tavole).
Questo mi ha resa particolarmente orgogliosa perché grazie a noi, ai nostri consigli, sono riusciti a dare forma alle immagini che avevano in testa. Mi sono sentita capace di insegnare qualcosa per cui ho affrontato sacrifici e anni di studio. Vivere queste giornate da docente mi ha dato maggior conferma su ciò che vorrei fare finiti gli studi. Ho anche scritto un piccolo manuale, utile per loro in caso di bisogno, in cui ho trattato in maniera semplice ed esaustiva i passi da seguire per realizzare il loro fumetto.
Ne approfitto per ringraziare Lucia Nardi per avermi dato la possibilità di vivere questa avventura insieme.
E l’Accademia?
L’Accademia ha un grande potenziale, dato dai ragazzi e dalle ragazze. È il luogo dove arrivano le menti che hanno voglia di imparare a creare; vogliamo fare della nostra arte e del nostro talento il nostro futuro. Chi si iscrive e frequenta l’Accademia delle Belle Arti vede in essa uno spiraglio di luce, una possibilità.
Nel mio corso di studi ho conosciuto persone iscritte a corsi differenti; io stessa ho frequentato tre corsi. Ho una certa “esperienza” interna all’accademia, ho avuto modo di “sperimentare” parecchi professori e quasi tutti, ad eccezione di uno o due, mancavano di un metodo di insegnamento adatto alla diversitá tipica dell’ambiente artistico-creativo. Un esempio lampante è il ritrovarsi a lezione e dover appuntare, parola per parola, quello che dice il docente in quanto, all’esame, avremmo dovuto usare quelle stesse frasi e parole, pena la bocciatura. Il risultato è ripetere un qualcosa senza dare un significato concreto e senza nessuna elaborazione o possibilitá di riflessione. Se andavamo al di fuori non andava bene.
Lo stesso vale per i lavori da presentare: se non hai quello stile “che vende”dato dalla tendenza del cosiddetto “mercato dell’arte” o non usi un determinato soggetto, sei a rischio bocciatura o vieni lasciato indietro. La cosa più nociva di tutte, però, è il divertimento che provano alcuni dei docenti nello sminuirti e farti sentire incapace. Lo dico perché mi è successo, e purtroppo so di non essere l’unica.
Avendo vissuto le stesse esperienze alle scuole superiori, mi sono sentita fin da subito intrappolata in un loop; non mi sentivo in un luogo dove poter crescere davvero, formarmi per un futuro. E lo sento ancora.
Credo che tutto questo dipenda dal fatto che i professori accademici, oltre alla laurea, o diploma accademico del vecchio ordinamento, debbano presentare un curriculum artistico. Questo perché in moltissimi casi l‘ insegnante, in realtà, è un artista e insegnare é un lavoro percepito come secondario. Credo sia per quello che percepisco che molti di loro sono più concentrati sulla loro carriera artistica che alle nostre lezioni e si dimenticano il motivo per cui sono lì: insegnare e aiutare gli alunni nella creazione dei lavori, dare consigli e indirizzarli, dare spunti per creare, magari, con mezzi non tradizionali o esplorare e sperimentare le intersezioni tra le varie discipline.
Vorrei che i professori colgliessero l’opportunità di ispirare e di darci lo spazio che meritiamo. Non devono per forza rimanere attaccati ad un insegnamento in cui se non si è spietati l’allievo non comprende. La critica va bene, ma le critiche non per forza devono avere il tono amaro della sconfitta, servono per far crescere, non per demolire. Inoltre vorrei dire che usare la parola “Industria” e “Creativa” nella stessa frase implica un concetto: che debba creare un’arte seriale, un’arte come un prodotto che possa essere venduto e quindi creato in massa e per la massa, non per forza di qualità. Basta che si crei, poi se vi è o meno un messaggio o della poesia dietro non è importante, queste cose le tirerà fuori il pubblico da intrattenere.
Questo non coincide con la mia idea, in quanto l’arte non deve essere a tutti i costi creata a fini economici: l’artista deve creare per esprimere una sua idea, una sua visione, con i mezzi che a lui sono più consoni, non seguendo la moda del momento.
Vivendo ora all’interno del circuito dell’arte visiva, noto che un’opera è acclamata se è gradevole, se ha uno stile o dei colori piacevoli; quando mi ritrovo a guardare quello stesso quadro che, magari ha vinto un premio prestigioso, non mi so dare la motivazione.
Non so dove arriveremo e cosa chiederà in futuro l’Industria Creativa, mi guardo intorno e penso: “Cosa sto guardando?”
Per la tesi di laurea magistrale vorrei trattare il tema dei blocchi creativi e ciò che comportano a livello mentale e fisico, in quanto, la conseguenza più grande, ovviamente, è l’incapacità di creare (che ha un impatto psicofisico). Ho scelto questo argomento perché l’ho vissuto in prima persona in questi ultimi 2/3 anni e credo che non se ne parli abbastanza. Prima era una sensazione lontana e intangibile, presa com’ero dal tran-tran di tutti i giorni, il lavoro e l’inizio della convivenza con il mio compagno.
Non mi ascoltavo abbastanza e non capivo che la mia creatività, la stessa che mi aveva aiutato in momenti bui della mia vita, si stata affievolendo dentro di me.
Con l’inizio del primo anno accademico del biennio, ritrovarmi in un contesto in cui si deve creare a tutti i costi, è diventato più evidente e, finalmente oserei dire, stavo capendo cos’era quella pesantezza che avevo nel cuore. Malgrado la brutta esperienza del triennio (con tutti i problemi emersi e descritti sopra) ero comunque entusiasta perché, forse, ritrovarmi negli stessi luoghi dove mi ero formata in precedenza mi avrebbe aiutato a superare questo blocco. Come una terapia d’urto.
Speranze svanite già nei primi mesi. Non riuscivo a portare a termine un disegno che potesse davvero emozionarmi ed avere un significato. Per me erano solo disegni fatti un esame, vuoti, senza una vera valenza. Solo dopo un grande sforzo sono riuscita a finire i lavori richiesti.
Forse è proprio questo il problema: si crea un qualcosa di raffazzonato, utile solo a raggiungere una votazione, più o meno giusta (che poi davvero i voti sono oggettivi o c’è una componente di simpatia?).
Ho incominciato a riflettere su ciò che vedevo e il più delle volte, è che va avanti chi crea qualcosa che piace alla giuria. E chi non crea qualcosa che le vada di gusto a quello specifico professore? Molte volte mi sono sentita dire frasi del tipo “questo non vende”, “il tuo stile è lontano dal mercato contemporaneo”. Sono tutte frasi che, a lungo andare, deteriorano l’artista che incomincia a sentirsi svilita.
C’è chi si riprende, ma chi, magari, lascia una strada per colpa di qualcuno che gli ha fatto credere cose ingiuste. Personalmente, non ho continuato subito gli studi perché ero stanca a livello psicologico, non avrei avuto la forza necessaria per finire i 2 anni richiesti per la magistrale. Ecco perché ho ripreso solo l’anno scorso.
La tesi scritta tratterà, quindi, temi di natura psicologica, come ad esempio la depressione e quali sono i fatti o le esperienze che conducono al blocco creativo, con le conseguenze che ne derivano.
Mentre la parte creativa prevede la realizzazione di tele che rappresentino le fasi del lutto, a metafora di come l’arte, oggi, sia più concentrata sulla produzione di un prodotto che possa essere vendibile esteticamente e che faccia fare soldi (a pochi eletti rappresentati da gallerie “serie”), tralasciando il contenuto ideologico e rappresentativo.
Queste saranno accompagnate da un’altra tela. Sarà la mia opera più bella mai creata, a cui mi dedicherò con tutta me stessa ma che non sarà mai vista da nessuno.
Qui sta il mio atto di critica: creerò un qualcosa che non potrete mai vendere perché io ve lo nasconderò. L’atto di nascondere invece che mostrare a tutti i costi é il mio atto di ribellione che desideo portare come critica al sistema che ha generato l’astio. Penso sará una tela. Sarà presentata con un telo nero (a simbolo del lutto) e verrà appuntata con della cera lacca. Il sigillo con cui la chiuderò verrà spaccato, perché non potrà mai più essere toccata.
Il primo problema (che si è già presentato) è quello di trovare un professore che possa rappresentarmi ma che, prima di tutto, creda nell’argomento che voglio trattare. In mio aiuto è arrivata Alice Castiglione (Alys), che non solo mi sta aiutando a dare corpo ai miei pensieri, ma che mi sta accompagnando in questo percorso fino alla laurea.
É bene affrontare il discorso di come la salute mentale influenzi la creatività e quindi la produzione di lavori artistici. Viviamo in una società che corre, non lascia spazio al respiro e alla riflessione ma é concentrata sulla produzione ossessiva e compulsiva.
Nella mia situazione attuale, sento la pressione delle lezioni e il dover superare gli esami. Dopo una pausa di cinque anni in cui ho lavorato, tralasciando completamente l’arte, la mia routine si è stravolta. Prima avevo il tempo cadenzato in maniera regolare, dato dalle ore lavorative e le ore libere.
Ora mi sono ritrovata ad avere sempre meno tempo libero e le giornate si sono trasformate e questo mi ha condotta ad avere attacchi di ansia. Studiare è diventato il mio lavoro a tempo pieno, con una mente meno allenata di quando facevo la triennale. Lo sforzo fisico e mentale è stato eccessivo e ne ho risentito per quasi tutto il primo anno. La continua richiesta di produrre tanti lavori quante sono le materie da seguire, ognuna con un tema diverso e quasi mai interconnesso ( e a volte non scelto personalmente) ha messo il carico da undici.
La salute mentale influenza tantissimo ció che creiamo e il risultato dipende anche dal motivo per cui facciamo arte: se tralasciassimo per un momento la produzione compulsiva di 100 lavori e ci concentrassimo su 1 solo, credo che avremo lo spirito più leggero e ci ricaricheremo le pile per i lavori successivi.
Prendiamoci il tempo per fare qualcosa che non per forza deve soddisfare le richieste di altri.
Secondo me, questo è il punto debole nella formazione di un artista, perché si creano dei lavori che facciano numero, mucchio, per far vedere prima al docente che hai lavorato, e poi all’industria che sei produttiva e meritevole di attenzione.
Mi chiedo, quanto di quello che si è realizzato ti rappresenta veramente? E quanto ti appaga davvero?
Un altra riflessione che porto é che nelle Accademie, in maniera visibile anche senza statistiche, vi sono più donne che uomini e il fatto che solo alcune di loro raggiungono la laurea, secondo me, è un fatto dato dall’ignoranza e disillusione che dilaga a macchia d’olio. Io, fortunatamente, non ho avuto problemi in questo senso, il mio lavoro è sempre stato giudicato a prescindere dal mio sesso, ma so di ragazze che direbbero sicuramente il contrario. Alcune di loro si sono stufate di essere additate o derise (per temi, idee, pratiche ecc..) e hanno deciso di proseguire senza un titolo di studio che poteva aprire loro tante altre porte. Mi rattrista dirlo, ma anche recentemente ho avuto occasione di parlare con ragazze che hanno subìto questo trattamento discriminatorio, una anche da parte di uno studente. Ripeto: il problema è l’ignoranza e l’incapacità di alcune persone di accendere il cervello. Lasciate i luoghi comuni e usate quell’ammasso di neuroni che avete, senza farvi influenzare da frasi fatte (solo all’apparenza non discriminatorie) e che ripetete senza dare loro un vero significato.
Vorrei chiudere con una riflessione sulla differenza di Pittura e illustrazione.
Una volta iscritta al corso di Pittura (magistrale), mi sono sentita subito come un pesce fuor d’acqua, non riuscivo a creare seguendo le regole dell’arte pittorica, fatta di dimensioni più grandi, più vaste e con tematiche diverse da quelle dell’illustrazione, da cui provenivo e a cui ero abituata.
Forse il blocco creativo è peggiorato per questo motivo? non sono riuscita a ragionare come un pittore?
Quando iniziai a buttare su carta le idee che avevo, mi sentivo dire che era un po’ troppo illustrativo oppure che dovevo restringere all’osso per realizzare un’arte che potesse essere concettuale.
Ma esattamente, cosa vuol dire creare un’arte concettuale?
In questo tipo di lavoro non riesco proprio a riconoscermi, perché le immagini che mi vengono in mente sono di impostazione illustrativa, che raccontano un qualcosa.
Se anche il pittore basa il suo lavoro su un concetto, non è come dire che ci sta raccontando o dicendo qualcosa? Perché un’illustrazione non può essere classificata come lavoro pittorico? Cos’è che crea la differenza? La creazione, l’impostazione e l’esecuzione di un lavoro artistico è subordinata allo scopo e al fruitore a cui é destinata. E le intersezioni?
Ma allora le due pratiche, secondo il pensiero accademico, non potranno mai coesistere?
Quello che provo è un senso di smarrimento e, di nuovo, un blocco nel momento della creazione, anzi, dai primi momenti della ricerca del soggetto e dei bozzetti. Prima di arrivare ad una conclusione ci rifletto più e più volte, togliendo o aggiungendo elementi che possano farla sembrare più pittura che illustrazione.
A volte penso che sia uno di quei rompicapi infiniti.
Io che sono illustratrice e studio da pittrice devo dividere me stessa a seconda di ciò che devo produrre. Ulteriore sforzo mentale che devo tenere sotto controllo per trovare una maniera di far convivere le mie due entità in un unico lavoro.
La creazione artistica é soprattutto ricerca di se stessi/e.
https://www.behance.net/dmontedoro
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